- 13 Luglio 2012
Tanto tempo fa venne fuori la notizia, falsa, che Al Pacino era omosessuale. Si scoprì subito che era una bufala. Qualcuno l’aveva letta su Internet e l’aveva diffusa, dandola per buona. L’ho letta su Internet. Come una volta si diceva: l’hanno detto in televisione. Solo che in televisione si dicono, generalmente, cose che hanno subito almeno uno straccio di filtro. Mentre su Internet, anche allora, girava di tutto. Internet è come un bar. Ognuno dice con sicurezza la sua. La certezza e la credibilità è un optional. Adesso che con i blog, con facebook e con twitter sono diventati tutti giornalisti, la situazione è degenerata. Prima di scoprire che la notizia della tigre scappata dalla zoo a Londra durante gli scontri era una scemata sono passate ore. Il meccanismo virale della rete è inarrestabile e ci vuole una forte notizia di senso contrario per arrestarlo. Così è successo anche per l’ischemia di Di Pietro, partita dall’Unione Sarda e piombata come una valanga su twitter. In questo caso è stato facile, con la smentita di Di Pietro, dare un colpo di freno al virus comunicativo. A Taranto settimane fa è successo di peggio. La notizia che la squadra di calcio locale, grazie ad un ricorso, era stata ammessa in serie B, twittata e retwittata, ha fatto impazzire la città, caroselli, strombazzi, urla, bagni nelle fontane per tutta la notte. La mattina, quando anche twitter rinsavisce, l’amara sorpresa. Morale: ricordate, twitter e facebook sono come un bar dove, ovviamente, si fanno chiacchiere da bar.
- 3 Luglio 2012
Ormai sono passate un paio di settimane e spero veramente che nessuno ne parli più. Ma anche a me, come a Cesare Prandelli, sono rimasti un po’ di sassolini nelle scarpe e approfitto della disattenzione generale per togliermeli. Che cosa non mi è piaciuto dell’Iliaa partecipazione italiana agli europei? Il buonismo imperante. Diciamolo: gli italiani hanno giocato una partita eccezionale (contro la Germania), una buona (contro l’Inghilterra) e una decente (la prima contro la Spagna). Hanno vinto, rigori a parte, due partite su sei. Molto meglio hanno giocato i tedeschi. Molto molto meglio gli spagnoli. L’ultima, la finale, gli italiani l’hanno persa per una serie incredibile di errori dell’allenatore e dei giocatori. La squadra, tranne minime individualità, era mediocre. Eppure la stampa italiana e i politici l’hanno incensata. Titoli orrendamente buonisti ci hanno coperto di ridicolo. Il peggiore di tutti: “Grazie lo stesso”. Chi ha osato dichiarare che avrebbe tifato contro, come Travaglio, è stato coperto di contumelie neanche avesse disertato la battaglia di Caporetto. Un ragazzo psicolabile è diventato un eroe nazionale, un giocatore d’azzardo incallito è diventato un esempio da seguire. E non bastasse, alla fine dell’ultima partita, persa per quattro a zero, dico quattro a zero, gli undici gladiatori sono scoppiati in un isterico piagnisteo collettivo che nemmeno Elsa Fornero. Di fronte alle lacrime dei nostri eroi si è sciolta tutta la nostra patria calcistica. Grazie azzurri. Lo stesso.
- 15 Giugno 2012
È un problema di galateo minore, d’accordo. Ma vi siete mai chiesti perché quando si sale sull’aereo si rimane tanto tempo in piedi aspettando che la gente si faccia i propri comodi e si accomodi? E come mai la stessa cosa succede anche sui treni? È un problema di galateo minore e nemmeno una questione così drammatica. Ma che cosa è che spinge la gente a fregarsene degli altri e pensare solo ai propri interessi? Basterebbe, individuato il proprio posto, occuparlo e rimandare ad un secondo tempo la sistemazione delle masserizie. Ma non lo fa mai nessuno. E così si impiegano minuti laddove basterebbero secondi, lasciando in piedi e in attesa molta gente dietro di noi. Al problema di galateo minore si aggiunge il problema del buon senso, virtù della quale Trenitalia sembra non fare uso. Sulle Frecce di vario colore è cambiato il sistema di numerazione dei posti. Prima si andava da uno a novanta circa. Adesso da uno a venti circa ma ogni numero indica quattro posti individuati con lettere A, B, C, D. Nuove targhette indicano i posti. Ma le vecchie targhette non son state tolte. Una confusione incredibile. Sempre, dico sempre, io che sono un assiduo cliente Trenitalia, assisto a discussioni fra viaggiatori che si contendono lo stesso posto. Perché quando hanno messo le vecchie targhette non hanno tolto le nuove? Io lo so il perché. Ne sono sicurissimo. Una ditta ha vinto l’appalto per togliere le vecchie targhette. Un’altra ditta ha vinto l’appalto per mettere le nuove. Non si sono messe d’accordo.
- 13 Giugno 2012
Ma quanti sono gli esodati? Non si sa, ognuno dice le sue cifre e se la prende con quelli che danno cifre diverse dalle sue. Sono 65 mila come quelli ai quali Elsa Fornero ha dato la patente? O sono 390 200 come dicono i vertici dell’Inps? A naso mi verrebbe da dare ragione all’Inps. Ma Elsa non ci sta. “Sono stati distribuiti numeri parziali”, ha detto. “Sono mesi che chiedo all’Inps di darmi dei numeri corretti. E’ stata una scelta irresponsabile per danneggiare il governo”. Ma se i numeri sono parziali, quali sono quelli giusti? Elsa non lo dice. Però dice: “Se fossimo in un settore privato questo sarebbe un motivo per riconsiderare i vertici”. E licenziarli, quindi. “Noi del settore pubblico, invece, licenzieremmo lei”, le ha risposto su twitter Luca Telese. Strano personaggio questa Elsa, che non pesa le parole e dice che bisognerebbe poter licenziare anche i dipendenti pubblici oltre che quelli privati. Per questo non mi è dispiaciuto quando Susanna Camusso, leader della Cgil, ha detto, nei giorni scorsi: “La Fornero ha la passione di licenziare”. Lo so che questo governo tecnico ha un compito difficile e che è come un medico che deve curare, anche a costo di fare male, e che non ha il dovere di essere simpatico. Ma l’arroganza e la supponenza sono un di più del quale potremmo tranquillamente fare a meno. E’ vero che un medico simpatico non è per questo un bravo medico. Ma è vero anche che l’antipatia non è un buon mezzo per risolvere i problemi della gente.
- 29 Maggio 2012
La foto è anche bella. Anna Finocchiaro, capogruppo Pd al Senato, tutta elegantemente vestita di rosso, fa la spesa all’Ikea mentre gli agenti della sua scorta l’accompagnano molto poco preoccupati della sua sicurezza e molto più indaffarati a portarle il carrello. Polemiche a non finire. Battute tipo: gli agenti della sporta. Populismo, moralismo, di tutto. Ma la prima riflessione che ho fatto è stata: giusto scandalizzarsi. Una senatrice di sinistra non può farsi beccare mentre utilizza a fini privati una scorta pagata dal denaro pubblico. Poi ho anche pensato: di fronte a ciò che leggiamo, ville, milioni, barche, case, tangenti, leggi ad personam, questa è proprio poca cosa. Poi ci ho riflettuto ancora un poco e sono di nuovo tornato sulla prima posizione: in politica i peccati veniali hanno lo stesso segno dei peccati mortali. C’è un problema di quantità ma anche un problema di qualità. E soprattutto è brutto pensare che c’è chi fa uso ancora della doppia morale. Che cosa avrebbe detto Anna Finocchiaro se la stessa fotografia avesse avuto come soggetto Daniela Santanché? Devo dire che ho sperato. Ho sperato che Anna Finocchiaro smentisse. Dicesse: è una speculazione politica, è un fotomontaggio, è stato un attimo, mi hanno strappato di mano il carrello ma l’ho subito riconquistato. Ebbene, Anna Finocchiaro ha smentito. Ha detto: non sono io che ho chiesto la scorta. Anzi ho chiesto che mi venisse tolta. E questa sarebbe una smentita, senatrice Finocchiaro?
- 17 Maggio 2012
Un’anziana, molto anziana signora dimentica di avvertire che la casa che affittava, 500 euro al mese, non l’affitta più. Ma nella dichiarazione dei redditi il commercialista, giustamente, non mette alcun introito. E inizia la sarabanda. Equitalia è inesorabile. Recupero crediti, multe, contro multe. E’ evasione fiscale. “Ma guardi che non c’è nessuna evasione, è solo una dimenticanza”. E’ la legge. “Ma è tutto solo frutto di un equivoco. Ecco la dichiarazione dell’inquilino che attesta che se ne è andato”. Troppo tardi. Bisogna pagare. “Non è arrivata nessuna intimazione”. Le abbiamo mandate. “Mai arrivate”. Le abbiamo depositate in comune. “E come facevamo a saperlo?” Hanno mandato l’avviso. “Non è mai arrivato”. Ha la prova? “No, siete voi che dovete avere la prova”. Nel frattempo le multe si moltiplicano. Equitalia è inesorabile. Bastava andare sul sito di Equitalia per scoprire che c’era un procedimento a carico, no? “Ma certo, una signora novantenne esce un attimo da Facebook e naviga su Internet alla ricerca delle sue cartelle esattoriali”. Ricorso. Paghi e poi faccia ricorso. “Va bene, paghiamo le tasse che non abbiamo evaso ma pazienza”. Ma le multe? Più del doppio. Uno Stato usuraio? E’ la legge. Ricorso. No, ci vuole un avvocato. Bene, così non è più il doppio, è il triplo. Caso personale. Ma tutti i casi sono personali. Solo Equitalia è un caso generale. Il caso generale di un ente che applica la legge. Metafora (metafora?) di uno Stato gabelliere. La lotta all’evasione non c’entra nulla.
- 6 Maggio 2012
Ne ha dette di tutti i colori il Buffon nazionale. Nei giorni precedenti la partenza della squadra italiana per gli Europei di calcio, il portierone della Juventus, investito dallo scandalo del calcio scommesse, ha reagito con sdegno attaccando giornalisti e giudici. Poi è saltata fuori di nuovo la vecchia storia che lo vuole grande scommettitore. Ora: il regolamento del calcio vieta ai calciatori di scommettere. Giusto? Non giusto? Non lo so. So solo che lo vieta forse per un motivo elementare: se scommetti sei portato a fare in modo che il risultato sia simile a quello della tua scommessa. Ma il caso di Buffon è un po’ diverso. Il portiere della nazionale non è un semplice scommettitore. E’ uno scommettitore compulsivo. Scommette un casino di soldi. E allora uno pensa: speriamo che vinca perché se perde perde un casino di soldi. E l’estremo difensore di una squadra, se per ipotesi assurda fosse coperto di debiti, potrebbe essere sospettato di qualsiasi cosa. Ingiustamente, ma sarebbe sospettato. Conoscete la storia della moglie di Cesare, no? Alla prima papera tutti a pensar male. “Di che stiamo parlando?” ripeteva fino alla noia durante la conferenza stampa. “Di che stiamo parlando? I soldi sono miei e ne faccio quello che voglio. Di che stiamo parlando?” Stiamo parlando, caro Gigi, di saggezza, senso del limite, di opportunità, di prudenza.
PS Però, lasciatemelo dire, due squadre italiane sono finanziate da due grosse compagnie di scommesse. Il calcio pubblicizza le scommesse, cioè spinge a scommettere. Di che stiamo parlando?
- 16 Aprile 2012
Su tutte le prime pagine, su tutti i telegiornali, su tutti i siti internet, la scorsa settimana non si è parlato che della improvvisa e drammatica morte di Piermario Morosini, il centrocampista del Livorno, avvenuta durante una partita di serie B. Il 30 ottobre 1977 Renato Curi morì durante Perugia Juventus, serie A. Sono passati molti anni e forse la memoria sbiadisce i ricordi. Ma mi sembra proprio che l’impatto sull’opinione pubblica fosse stato minore. E’ la società dello spettacolo? La morte in diretta? La tv che dilata qualsiasi cosa? Omar Calabrese, semiologo toscano, aveva scritto un saggio, tanti anni or sono, sulle reazioni dei media alle disgrazie. Ne ricavò una specie di equazione nella quale si potevano immettere dati quali il numero dei morti, la distanza dell’evento, la drammaticità della disgrazia e cose del genere. Si chiedeva: colpisce più la morte di un bambino del tuo condominio o quella di 300 passeggeri di un jumbo in Corea? Qualche settimana fa è morto durante una partita un giocatore di pallavolo, Vigor Bovolenta, ex nazionale. La commozione mediatica si è limitata a quattro righe in prima pagina sul Corriere della sera. Certo: la pallavolo non è il calcio. Più tifosi, più commozione. Per Morosini i titoli sono stati tutti del tipo: muore un calciatore durante una partita, si fermano i campionati. In Italia muore, ogni tredici ore, un lavoratore sul luogo del lavoro. Non ricordo prime pagine con titoli tipo: “Operaio muore in fabbrica. Si fermano le industrie”.
- 9 Aprile 2012
Il mio amico Massimo Cirri (conduttore di Caterpillar) mi prende sempre in giro raccontando che una volta mi chiese: “Ma tu ci vai ai concerti?” Sembra che io gli abbia risposto: “Ci andrei se non ci fosse tutta quella musica”. E’ molto probabile che io gli abbia detto quella frase. Ma io non odio la musica. Voglio solo che stia al posto suo. Che mi venga in aiuto quando la chiamo. Odio la musica negli ascensori, nei negozi, nei ristoranti, negli aeroporti, sulle piste da sci. La musica la godi solo quando la desideri. Conduco un programma radiofonico dove si parla tutti i giorni con i politici. Ad un certo punto devi interromperti per mandare in onda canzonette. Ci dicono che così è ben fatto. Che l’attenzione dell’ascoltatore ha bisogno di riposo. Che la parola stanca. Sciocchezze. La musica in certi programmi ci sta come i cavoli a merenda. E comunque sono opinioni: una vale l’altra. Perché non si piazzano musichette anche nei telegiornali? Anche se… Qualcosa si sta muovendo. Sulla falsariga di quelle silenziosissime melodie quasi trasparenti che potete ascoltare in sottofondo a quasi tutti i programmi radiofonici, da un po’ di tempo sono comparsi anche nel sottofondo dei Giornali Radio dei debolissimi ma percettibilissimi suoni, una specie di tintinnio. Sotto le polemiche fra Camusso e Marcegaglia si sentono quieti ma martellanti din din din. Vedrete, succederà anche con i Tg. Ma allora perché, con la Nona di Beethoven, non mandano in sottofondo le dichiarazioni di Calderoli?
- 12 Marzo 2012
Ma quest’uomo è svedese? Sua mamma Yurka è croata. Suo papà Sefik è bosniaco. Ma Zlatan Ibrahimovic è nato a Malmoe. Forse è vissuto troppo in Italia dove è stato ricoperto di oro per la sua indubbia capacità calcictica. Venti anni in Svezia non sono bastati a fissargli nel carattere la passione dei diritti civili, il rispetto per il mondo femminile, il rifiuto della discriminazione. Per questo quando litiga con qualcuno non riesce a tenere a freno i luoghi comuni del sessismo più banale che gli partono dal cuore e gli sgorgano dalla bocca senza passare per il cervello. Due domeniche fa se l’è presa con l’inviata di Sky Vera Spadini colpevole di avergli rivolto una innocua domanda giudicata dalla svedese Zlatan troppo impertinente. E come ha reagito? Secondo la Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera, le ha rivolto una frase così sciocca che sembra presa dall’armamentario maschilista dell’altro secolo: “Vai a casa a cucinare”.
Non è la prima volta. In Internet potete ancora ascoltare che cosa disse ad una giornalista spagnola, Laura Lago, che gli aveva mostrato una foto in cui era stato ritratto in atteggiamento un po’ troppo affettuoso con il compagno di squadra Piqué. “Vieni a casa mia e ti faccio vedere che non sono frocio”. Non contento ha aggiunto: “E porta anche tua sorella”. Il mondo del calcio è una repubblica a parte. Ai calciatori viene concesso tutto. Ibrahimovic ha detto una cosa orrenda, frutto di secoli di maleducazione. Per i giornalisti sportivi è “un ragazzaccio”.