- 16 Aprile 2012
Su tutte le prime pagine, su tutti i telegiornali, su tutti i siti internet, la scorsa settimana non si è parlato che della improvvisa e drammatica morte di Piermario Morosini, il centrocampista del Livorno, avvenuta durante una partita di serie B. Il 30 ottobre 1977 Renato Curi morì durante Perugia Juventus, serie A. Sono passati molti anni e forse la memoria sbiadisce i ricordi. Ma mi sembra proprio che l’impatto sull’opinione pubblica fosse stato minore. E’ la società dello spettacolo? La morte in diretta? La tv che dilata qualsiasi cosa? Omar Calabrese, semiologo toscano, aveva scritto un saggio, tanti anni or sono, sulle reazioni dei media alle disgrazie. Ne ricavò una specie di equazione nella quale si potevano immettere dati quali il numero dei morti, la distanza dell’evento, la drammaticità della disgrazia e cose del genere. Si chiedeva: colpisce più la morte di un bambino del tuo condominio o quella di 300 passeggeri di un jumbo in Corea? Qualche settimana fa è morto durante una partita un giocatore di pallavolo, Vigor Bovolenta, ex nazionale. La commozione mediatica si è limitata a quattro righe in prima pagina sul Corriere della sera. Certo: la pallavolo non è il calcio. Più tifosi, più commozione. Per Morosini i titoli sono stati tutti del tipo: muore un calciatore durante una partita, si fermano i campionati. In Italia muore, ogni tredici ore, un lavoratore sul luogo del lavoro. Non ricordo prime pagine con titoli tipo: “Operaio muore in fabbrica. Si fermano le industrie”.