- 18 Settembre 2013
Lo so che le parole sono importanti, e che il cambiamento di alcuni modi di dire può stimolare importanti cambiamenti nel costume. Pensate solo a quando sulla carta di identità alcune persone avevano scritto “figlio di n.n.” Sembra incredibile no? Sembra quasi impossibile che la burocrazia fosse così insensibile e cafona. Ma può essere la burocrazia cafona? Sì, succede quando i valori dell’individuo vengono posti all’ultimo posto per privilegiare la mancanza di fantasia e la pigrizia. Io però ho sempre pensato che, dovendo scegliere, è meglio pensare prima ai contenuti che alla forma. Faccio un esempio. Se uno, come è giusto e naturale, tratta un nigeriano come un essere umano e lo chiama negro e se un altro lo chiama “nero” ma lo tratta male, io non ho dubbi su chi preferire. Molte persone si mettono il cuore in pace scegliendo parole corrette tipo “diversamente abili” e “non vedenti”. E poi parcheggiano sui marciapiedi rendendo impossibile la vita ai ciechi oppure protestano per la presenza di bambini down nella classe dei loro splendidi bambini. Ecco perché sono sempre diffidente quando si parla di linguaggio. Genitore 1, genitore 2, altro genitore? Tutto per non scrivere “padre” e “madre” sui documenti rischiando di offendere le coppie gay. Giusto, giustissimo. Ma poi riconoscere i diritti reali dei gay? Il diritto a sposarsi? Il diritto all’eredità? Il diritto ad adottare figli? Il diritto ad assistersi in caso di malattia? Se questa è una tappa del percorso, ci sto. Ma ho tanti dubbi.