- 25 Novembre 2015
Era uno degli ultimi giorni del novembre 1999. Salii al settimo piano del palazzo della Rai di viale Mazzini (quello pieno di amianto) per intervistare Pierluigi Celli, il direttore generale. Fu una bella intervista alla fine della quale Celli mi raccontò che era stato D’Alema, attraverso il suo braccio destro Claudio Velardi, a volerlo assolutamente in quel posto. Non mi sembrava una notizia particolarmente eccitante, lo sapevano tutti che le alte cariche della Rai spettavano, erano sempre spettate, al primo ministro. Ma il giorno dell’uscita in edicola di Sette, il magazine del Corriere della Sera, successe l’ira di dio. Sbucarono da ogni dove mille mammolette, scandalizzate, che alzarono un bel polverone tanto che lo stesso Celli mi fece telefonare chiedendomi di smentire e dire che mi ero sbagliato, cosa che naturalmente non feci. Era veramente una polemica senza senso. Invece che spingere verso una sana e radicale riforma della Rai si preferiva la contesa e la battaglia tutte le volte che succedeva quello che non poteva che succedere e cioè che la politica, padrona della Rai, sceglieva gli alti dirigenti della Rai. Da allora sono passati 16 anni. Di riforme sostanziali non ne sono state fatte, in compenso è stato riformato il comune sentire. Giorni fa il direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto ha raccontato al Corriere della Sera che il 5 agosto Matteo Renzi gli ha telefonato per offrirgli la direzione della Rai. E se dio vuole non è successo nulla. Non fioriscono più le mammolette.