- 16 Giugno 2014
E’ una maledizione. Il politicamente corretto: non se ne può più. Ormai le categorie dei disagiati non possono essere nemmeno nominate. Sono categorie a rischio. Per chi le nomina. Non importa se chi lo fa ha un passato immacolato. Non importa se si è distinto in rispetto per gli sfortunati. Se li nomina deve passare attraverso le forche caudine di persone che si autonominano difensori degli ingiustamente colpiti dai politicamente scorretti. Caso Mineo. Dice: “Renzi è un ragazzino autistico che vorresti proteggere perché tante cose non le sa però se lo metti a ragionare di politica e di rapporti di forza suona, come quel bambino che risolve una equazione complicatissima di matematica”. Non è una frase scorretta. Anzi è piena di affetto per quei bambini che si rifiutano o non ce la fanno a raggiungerci nel nostro mondo pieno di contraddizioni e di ingiustizie. Bambini che – ha ragione Mineo – appena li vedi il cuore ti si riempie di rabbia per l’ingiustizia e ti viene la voglia di proteggerli. Mineo non è cinico. Semmai cinismo è aggrapparsi al suo “errore” facendo finta di indignarsi, ergendosi a difensore della disgrazia, in realtà sfruttandola a fini politici. Attenzione al politicamente scorretto. E’ materia scivolosa. Non sai mai dov’è il buono e dov’è il cattivo. Se io dico che sei cieco di fronte alle disgrazie del mondo offendo i non vedenti? Se dico che il governo zoppica, ce l’ho con gli storpi? E vogliamo parlare di Bernardo di Chartres che diceva: siamo nani sulle spalle dei giganti?
- 2 Giugno 2014
Se voi avete un grande giardino, potate le siepi e fate un bel falò, siete dei criminali. Non nel senso etico ma proprio in quello giuridico. State commettendo un crimine. E rischiate la prigione. Siete equiparati ai camorristi delle Terre dei fuochi. Le leggi sono il nostro glorioso castello di Kafka. Sentitemi: ho potato una quantità industriale di siepi e ho scoperto che non posso bruciare le ramaglie perché c’è una legge europea recepita dalla legge italiana che stabilisce che tutto ciò di cui ti vuoi disfare è un rifiuto. Ti vuoi disfare delle sterpaglie? Sono rifiuti e i rifiuti non si posso bruciare. Ma se le sterpaglie sono rifiuti e non si possono bruciare, non si possono nemmeno accumulare, nemmeno trasportare, nemmenio triturare. Curare una siepe, potare un uliveto, tagliare l’erba del prato vuol dire entrare di fatto nel mondo della criminalità. A volte penso che le cose in Italia si possono risolvere solo con un piccolo tasso di violenza a bassa intensità. Mettiamoci d’accordo tutti noi potenziali delinquenti produttori di scarti vegetali. Prendiamo i nostri camion pieni di foglie e di rametti e depositiamolo davanti al municipio. Appena il sindaco si fa carico del materiale altamente pericoloso lo denunciamo per manipolazione di rifiuti.
Ps: però c’è un trucco. Procurarsi una dichiarazione di un fitopatologo che le tue siepi sono malatissime. Hanno la peronospera, la processionaria, il morbillo, il ginocchio della lavandaia. In questo caso bruciare le potature non solo è possibile ma è obbligatorio. Il crimine paga.
- 27 Maggio 2014
Il problema di Napoli sa qual è? mi chiede il signore elegante alla mia destra. No, non lo so. Posso provare ad indovinare. La camorra? No. La monnezza? No. La corruzione? No. Senta, non mi tenga sulle spine, è per caso il traffico come a Palermo? Il signore elegante alla mia destra apprezza la mia cultura cinefila. Ma il problema di Napoli non è nemmeno il traffico. Il problema di Napoli sono i tassisti. Siamo nella coda dei taxi davanti alla stazione di Napoli. Siamo i primi a dover essere presi a bordo. Conto 54 taxi disposti su tre file. Nessuno imbarca passeggeri. I tassisti sono impegnatissimi in una discussione. Non si riesce a capire chi sia il primo, l’eletto destinato a prendermi a bordo. Vorrei intervenire e spiegare che il primo taxi dovrebbe essere il primo della prima fila. Troppo facile. La discussione vola su livelli più alti direi quasi metafisici. Dicono che la scuola di Francoforte fosse frequentata da molti tassisti. Mi accorgo che i tassisti ci stanno soppesando. Ho l’aspetto di quello che deve andare ad Amalfi? Onestamente no. Non sono appetibile. Gli autisti sembra che ci stiano giocando alla morra. La coda dei clienti è sempre più lunga. Quella dei taxi è arrivata a 65. E loro dibattono. Ma qualcosa si smuove. Ecco, hanno deciso. Il primo taxi è il secondo della terza fila. Mi avvio con passo deciso. Alt. Non tocca a me. Tocca al signore elegante che ha l’aria di quello che deve andare a Positano, roba da 50 euro. Il problema di Napoli sono i tassisti.
- 13 Maggio 2014
Bella, molto bella, una politica giovane e bella, talmente bella da poter reggere alla grande il confronto con le bellone alle quali ci aveva abituato il riformatore Berlusconi. Ma non bisogna dirlo. Perché lei vuole essere giudicata per le riforme e non per le sue forme. Lo ha detto lei, alla Bignardi, bucando il video come nessuna aveva mai fatto prima. Le riforme diciamo che non si sono ancora viste ma della forme Maria Elena Boschi continua a non fare mistero. Nella retina degli italiani torbidamente maschilisti rimase impressa l’immagine quarto posteriore di Maria Elena china verso la firma il giorno del giuramento davanti a Napolitano fasciata in un pantalone azzurro elettrico più simile a leggings che a classiche braghe. Non bastasse Maria Elena ha deciso di turbare nuovamente l’immaginario colletivo degli appassionati di politica presentandosi al Maggio Fiorentino vestita come una colonna dorica rossa fiammante drappeggiata ai limiti dell’inciampo. Non bella, bellissima. Tralascio il rossetto ton sur ton. Tralascio i tacchi da fenicottera. Tralascio un trucco, raffinatissimo, da fanciulla che tutto vuole tranne che passare inosservata. Gli occhi di tutti gli italiani sono rimasti inevitabilmente incollati su una scollatura politicamente scorretta. Non oso pensare come ci deve essere rimasto Enrico Lucci, la Iena, lui che la volta scorsa, evidentemente turbato, la molestò per strada dicendole che era una “figa strepitosa”. Ministro, la prego, limiti la sua creatività. Enrico Lucci potrebbe rimanerci.
- 7 Maggio 2014
E’ un club: “Quelli che il dito medio”. Chi non fa il dito medio è proprio fuori dal mondo. Il dito medio non è una parte del corpo. E’ un insulto di importazione. Gli italiani importano tutto. Importano feste come quella di Halloween. Importano gerghi come “ok”. Importano cibi di strada come il kebab. Slogan politici come “I care”. Potevamo non importare il dito medio? Avevamo le nostre belle corna usate da presidenti della repubblica e presidenti del consiglio. Avevamo il gesto dell’ombrello che ci ha copiato anche un genio come Maradona. No. Avevamo bsogno anche del dito medio. Nessuno sa perché proprio quello medio. Di certo farlo con l’anulare non sarebbe elegante. Il pollice è già occupato per dire “va bene”. L’indice ha il suo bel da fare per indicare. Il mignolo serve a pulire le orecchie. Non restava che il medio. Molti la buttano sul culturale facendo risalire il tutto alla Grecia e all’antica Roma. Digitus impudicus. Altri alle guerre fra inglesi e francesi perché era il dito usato dagli arceri britannici. Ma la sua diffusione moderna non può non essere attribuita alla cinematografia americana. In Italia non è diffusissimo ma è in espansione. E’ il gesto preferito da Daniela Santanché, da Umberto Bossi, da Roberto Formigoni. Gente di destra. Il dto medio è di destra quindi? Domanda sciocca. Non esiste più la destra, non esiste più la sinistra. Ecco perché Piero Fassino ha usato il dito medio contro i suoi contestatori allo stadio Filadelfia. Era un segnale politico. Per sentirsi trendy.
- 29 Aprile 2014
Il reato era stato particolarmente disgustoso. Aveva massacrato a colpi di machete la proprietaria della barca che aveva affittato e voleva scappare con la sua fidanzata minorenne in Polinesia. Lo avevano catturato ed inevitabilmente si era beccato l’ergastolo. Io mi considero uno piuttosto garantista. Non mi piace il carcere come soluzione dei problemi e ritengo che le carceri italiane siano una punizione nella punizione. Credo anche che esistano forme alternative per scontare la pena. Non mi piacciono le amnistie e gli indulti come soluzione all’affollamento carcerario (anche perché generalmente sono soluzione di altri problemi) ma mi piacciono più le assoluzioni che le condanne. Ritengo che sia meglio un colpevole fuori che un innocente dentro. Ecco, tanto per chiarirci. Ma quando uno ammazza per farsi un viaggetto in Polinesia non avrei dubbi. Galera. Poi però capisco che il carcere possa (raramente) redimere. Quindi sono giusti i permessi premi in presenza di comportamenti virtuosi. Fu proprio per la buona condotta che l’ergastolano aveva ottenuto un permesso premio nel 2007, dopo 19 anni di prigione. Solo che era scappato. Si chiama evasione. Ed era stato riacciuffato. Voi direte: adesso basta. Mai più permessi premio. L’evasione è un diritto secondo molti codici penali. Ma non è un esempio di buona condotta. L’ergastolano evidentemente ci sa fare. Ottiene di nuovo, sette anni dopo l’evasione, un permesso di tre giorni da trascorrere all’Elba. E scompare. E non si dica che la giustizia italiana non è buona.
- 22 Aprile 2014
Quando la vita è romanzo. Qualche settimana si presentano alle porte del Vaticano due signori distinti, tale Zvonko Bardik, di 68 anni, olandese di origini malesi, e Owen Thomas Lennon, americano di 54 anni. Erano le 9,30 di martedi 11 marzo. Dicono che hanno un appuntamento con lo Ior. Allo Ior dicono che non hanno nessun appuntamento con i due signori. I due insistono ed a questo punto i gendarmi si insospettiscono, chiamano i poliziotti italiani i quali perquisiscono i due e saltano fuori da una valigetta titoli in dollari di Hong Kong, dollari americani ed euro per una cifra da fantafinanza: 2.800 miliardi di euro. Avete letto bene: 2.800 miliardi di euro. I due, il gatto e la volpe, volevano depositarli allo Ior. E qui poco importa che i due fossero stati subito identificati come due truffatori al livello di Totò che voleva vendere la Fontana di Trevi a De Filippo, conta poco che i titoli fossero delle banali fotocopie e delle traduzioni ridicole fatte alla Google translator. Quello che importa è che sperassero che lo Ior accettasse il deposito di 2.800 miliardi di euro, una cifra alla Paperon de Paperoni. Avete presente i fantastilioni? Eppure…eppure…ormai ci siamo quasi abituati. L’altro giorno ho letto che Armani ha concordato un contenzioso fiscale ed ha pagato 270 milioni di euro. Ma gli era stato contestato 1,4 miliardi. Avete presente quanti sono 1400 milioni di euro? Sono quello che un operaio guadagnerebbe in 500 anni. O 5000 anni? Non ci capisco nulla Queste cifre mi fanno perdere la testa.
- 14 Aprile 2014
Io non ne posso più, sinceramente. Mi è diventata insopportabile l’idea che se accendi la televisione, a qualsiasi ora, ti becchi cuochi vecchi alle prese con lo zenzero, cuochi bambini che maneggiano la citronella, cuochi professori che sgridano aspiranti cuochi perché non sanno usare il cumino. Padelle che rosolano, forni che arrostiscono. Patate, pesci, pancette, paste. Spingi un bottone del telecomando e ti entra in casa un puzzo di fritto insopportabile. Io spero solo che brucino la frittata e scuociano gli spaghetti. Tutti a dire che la cusina è cultura. In tv è sempre un copia copia. Dopo Costanzo solo talk show. Dopo il Grande Fratello solo reality. Le nostre televisioni soffrono di mancanza di fantasia. Importano programmi dall’estero, già confezionati, e poi li duplicano, li centuplicano. Esistono pochissime trasmissioni originali. Ma più sono intelligenti, meno vengono copiate. In compenso, su tutte, trionfano le trasmissioni calcistiche. La domenica è uno tsunami di banalità. La squadra è scesa in campo tonica e il mister l’ha ben disposta sul rettangolo di gioco ma non ha retto dal punto di vista psicologico. Su un fuorigioco sono capaci di parlare mezzora. Tutti serissimi. Se togli l’audio ti sembra di assistere ad un dibattito sulla scuola di Francoforte. Durante la settimana, poi, scemano i commenti sulle partite finite e crescono quelli sulle partite a divenire. Un giorno accenderemo il televisore e vedremo Mourinho che ci spiega come si fa un uovo al tegamino.
- 9 Aprile 2014
Di quote rosa si parla da decenni, se ne parla sempre, se ne parla dovunque, ne parlano tutti. Se si mettessero in fila tutte le pagine che parlano di quote rosa si otterrebbe una scia di carta da Roma a Pekino e ritorno. Una noia mortale. Non perché l’argomento non sia importante. Ma è perché si dicono sempre le stesse cose. O meglio si dicono due cose. I favorevoli dicono che le donne, elemento debole della società, hanno diritto ad un aiutino. I contrari dicono che comanda la meritocrazia. Se un uomo è meglio non c’è motivo per preferirgli una donna. Ecco, gli argomenti sono questi. E vengono tritati e ritritati. Le quote rosa sarebbero un’ingiustizia intollerabile per gli uni. Ma necessaria per gli altri. Perché debbo essere costretto a votare una donna se ritengo un uomo migliore? Quello che nessuno dice è che le quote in democrazia esistono, ed esistono da sempre. In Europa per esempio perché un italiano deve scegliere tra le liste italiane e non può votare uno svedese che ritiene migliore? Ma anche in Italia, in fondo. Perché i romani non posso votare uno che si candida a Sondrio se lo ritengono migliore di quelli che si presentano a Roma? Chiamiamole quote geografiche e servono per garantire una equilibrata rappresentanza fra regioni differenti. Per fare in modo che i candidati, per esempio, del nord non strabordino rispetto a quelli del sud. E allora perché non bisogna fare in modo che gli uomini non strabordino rispetto alle donne? Così, tanto per ragionare.
- 19 Marzo 2014
La domanda che molti si fanno è: perché nei talk show si vedono sempre le stesse facce? Chi decide chi deve andare in tv? Scommetto che vi verrebbe da rispondere: quelli che piacciono di più ai conduttori. Non è così, o almeno non è sempre così. Molto spesso sono i partiti a decidere. Ed è per questo che le facce sono sempre le stesse. Sono le facce di coloro che i partiti decidono che debbono andare in tv. Con questo capiamo come fa il potere a perpetuare se stesso. Se la presenza nei media serve a creare consenso è chiaro che i più potenti si autopromuovono, si autoproteggono e si autoeleggono. Gli elettori, insomma, la smettano di lamentarsi perché non esistono le preferenze. Anche se esistessero il risultato non cambierebbe. Verrebbero eletti sempre i soliti noti. Il centro di ascolto radiotelevisivo ha monitorato quattro anni di presenze a Porta a porta e a Ballarò. E sapete chi è in testa? Berlusconi? Renzi? Bersani? Monti? Letta? No, sorpresa. In testa c’è Maurizio Lupi, primo per minutaggio a Porta a Porta e secondo a Ballarò. Domanda ingenua: ci sono possibilità che non venga eletto alle prossime elezioni? Comunque tranquilli: Matteo Renzi è in testa a Ballarò e terzo a Porta a porta. Ma ve lo immmaginavate Maurizio Gasparri sesto davanti a Monti (Porta a porta) e Italo Bocchino decimo (Ballarò)? E volete sapere dove è finito il povero Letta? Nono ( Ballarò) dietro a Stefano Fassina. Tutto questo per dirvi: smettetela di battervi per le preferenze. Vinceranno sempre loro. Comunque.