Ma dove erano tutti questi fotografi quando non c’erano i telefonini? E che fine fanno tutte queste fotografie brutte, mosse, sfocate, sgranate? Mai nella storia della comunicazione sono state fatte tante foto. E questo avviene proprio nel momento in cui la fotografia è in crisi, le agenzie chiudono, i fotografi sono a spasso. Una vecchietta cade sul marciapiede? Decine di cellulari compaiono per immortalare l’avvenimento. Solo dopo qualcuno aiuta la vecchietta. Adesso c’è anche la foto col tablet. Distinti signori girano le città realizzando foto con grosse, ingombranti e scomode tavolette che fanno assumere l’aria un po’ da deficiente. Siamo diventati tutti fotografi senza passare per la macchina fotografica. Per chi ha scoperto la fotografia in anni in cui era indipensabile l’uso della pellicola è una sofferenza vedere la quantità di scatti, la superficialità dei contenuti, l’inesistenza di uno straccio di studio preventivo dell’inquadratura e dei soggetto. Non sono un vecchietto nostalgico. E’ proprio che mi da fastidio la superficialità, la mancanza del minimo impegno. Quando vedo qualcuno che impugna una classica Nikon o magari una Leica col suo “clac clac” vorrei abbracciarlo. A me i cellulari stanno bene, ma vorrei che servissero a telefonare. Invece sono orologio, navigatore, bussola, registratore, radio, televisore, album di fotografie, avversario a burraco, juke-box, giornale, libro, casella postale. Quanto mi piacerebbe fare una telefonata con una Canon!

[csf ::: 09:48] [Commenti]
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Il mese scorso sono stato a Barga, un paese molto bello, sereno, benestante e culturalmente attento. La settimana scorsa sono stato in Val di Comino. Anche lì ho notato intelligenza, voglia di fare, ed una sorta di agio. Mi sono chiesto perché ed ho scoperto che in entrambi in casi hanno fatto della loro povertà la molla per la loro ricchezza. Emigrati in Scozia e in Irlanda avevano lavorato come schiavi, gelatai e fish and chips, erano diventati ricchi ed erano tornati in Italia investendo le loro ricchezze nei loro paesi. Forse c’è un po’ di agiografia, ma mica tanta. Ho pensato a a loro quando ho letto che uno dei nuovi senatori a vita nominati da Napolitano, il grande maestro Claudio Abbado, era stato accusato di essere un evasore che aveva portato la sua residenza a Montecarlo e poi era stato beccato dal fisco col quale aveva concordato. Tutte balle. Né evasore, né residente a Montecarlo, né concordato. Si è difeso bene il maestro: “Non sono mai stato residente a Montecarlo. Per periodi della mia vita sono stato residente a Londra e a Lucerna”. Buffo no? Napolitano nomina senatori a vita personaggi che “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti”. Perfetto. Ma perché gente straricca, strafamosa, straintelligente, con la vita strafacile e strafortunata, dopo essere stata nominata a 35 anni direttore della Scala va ad illustrare la Patria a Lucerna? Che cosa gli abbiamo fatto noi italiani che non vuole essere dei nostri? Un problema fiscale? No, non voglio crederci.

[csf ::: 11:56] [Commenti]
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L’estate sta finendo e, scusate, io sono depresso perché come accade sempre all’inizio dell’autunno cadono le foglie e fioriscono le scemate sul calcio, rendendo insopportabile la lettura dei quotidiani. I giornali si riempiono di articoli di cronisti sportivi che credono di essere poeti (è una malattia nazionale degli scrittori di calcio: dimenticano le notizie -chissenefrega delle notizie, meglio frasi senza senso, senza logica, senza contenuti, senza virgole, fa tanto Vittorio Sereni). Le televisioni ricominciano a trasmettere le smorfie e i balletti dei goleador che hanno fatto il loro dovere, cioè hanno segnato un goal (è come se il cassiere della banca, constatato che ha contato esattamente il tuo versamento, si mettesse a fare le piroette). Le immagini di creste di capelli, di sbaciucchiamenti fra attaccanti, fanno a lotta per crearsi spazi fra telecronache cronache piene di “tocca palla” e “ripartenza” (quasi quasi rimpiango “la squadra superiore sia dal punto di vista tecnico che agonistico”). E poi tocca pure scandalizzarsi perché quattro rincitrulliti delle curve fanno buuu a un miliardario nero. Passerà. E poi i giornali pubblicano anche notizie con le quali consolarsi. Per esempio il litigio twitter fra la falca Daniela e la colomba Maurizio (mi fa sempre impressione definire colomba il grande Gasparri). Non morirò per il Twiga, dice la colomba. Non morirà nemmeno di troppo lavoro, ribatte la falca. E noi, se loro continuano così, non moriremo di noia.

[csf ::: 17:29] [Commenti]
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Un po’ di autobriografia. Ho cominciato come giornalista sportivo perché mio padre era un giornalista sportivo. Famoso. E lui mi faceva vivere nell’ambiente dello sport, fra mondiali, giri, Olimpiadi. Ero piccolo quando vidi Vladimir Kuts battere il record dei 5 mila all’Olimpico. Ero a Reims quando Baldini vinse i mondiali di ciclismo (correva ancora Coppi). Avevo 8 anni quando la mia famiglia si trasferì a Cortina d’Ampezzo perché mio padre lavorava nell’organizzazione. Da allora un’Olimpiade dietro l’altra, Roma, Grenoble, Monaco, Innsbruck, Seul. Con un sempre maggior disamore per lo sport. Perché mio padre mi aveva insegnato che l’importante era partecipare, non vincere (a questo ci credevo poco perché avevo un notevole spirito agonistico, anche se avevo la deplorevole abitudine di arrivare sempre ultimo). Ma soprattutto mi aveva insegnato che esistevano i dilettanti e i professionisti. E che alle Olimpiadi partecipavano i dilettanti. E che il dilettante che mostrava una marca di scarponi veniva squalificato. D’accordo, il mondo va avanti e chissenefrega. Ma mi è venuto in mente mio padre quando ho letto che Federica Pellegrini aveva piantato una grana perché le sue medaglie d’oro non erano state “valutate” a sufficienza. E che la Filippi, che aveva vinto meno di lei, era stata “pagata” più di lei. Che cosa avrebbe pensato mio padre? Mah. Che cosa si può pensare di persone che guadagnano, grazie agli sponsor, un paio di milioni di euro e si lamentano per qualche spicciolo?

[csf ::: 09:04] [Commenti]
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Manifestazione in via del Plebiscito per consolare Silvio Berlusconi condannato anche dalla Cassazione. I suoi amici, i suoi parlamentari, i suo familiari, i suoi fans si danno appuntamento sotto le finestre di palazzo Grazioli, abitazione romana del leader del Pdl, per acclamarlo, cantargli l’inno di Forza Italia e urlare Silvio Silvio. Tutte cose normalissime in un paese democratico e libero. E infatti mille persone, diciamo due mila, arrivano, cantano, urlano slogan, applaudono circondando il palco eretto davanti alla casa di Silvio. Peccato che il palco fosse abusivo perché nessuno aveva chiesto l’autorizzazione. Peccato che per erigerlo gli uomini di Berlusconi abbiano segato un palo di segnaletica stradale. Il Campidoglio fa sapere di non aver mai autorizzato l’erezione del palco e di considerare grave l’eliminazione del palo. Seguiranno provvedimenti e multe. Ed è subito polemica. Per fortuna interviene Fabrizio Cicchitto, uno degli uomini di spicco del Pdl. All’inizio si tiene sul vago parlando di polemiche di stampo burocratico. Ma poi entra nel merito. Tutti aspettano che spieghi che il permesso è stato richiesto. Che il palo non è stato toccato. No, Cicchitto dice: “Il sindaco Marino è un cretino”. Questo livello culturale fu raggiunto solo durante il fascismo. Cicchitto è l’uomo che tutti ricordano soprattutto perché il suo nome è stato trovato nella lista della P2. Devo aggiungere altro? D’accordo, mi porto avanti col programma. Sono un cretino.

[csf ::: 06:40] [Commenti]
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All’inizio questo Francesco mi aveva lasciato un po’ perplesso. Non tanto perché si ipotizzava che avesse un passato di contiguità con la dittatura, ma perché proprio quella sua ingenuità, quella semplicità, quel parlare chiaro e senza misteri mi apparivano troppo voluti. Sbagliavo. E anche quel suo volersi chiamare Francesco mi appariva presuntuoso, una maniera per stamparsi addosso un timbro di qualità. Sbagliavo. Questo papa è eccezionale. Andare nella città delle favelas a predicare non la prudenza e la cristiana rassegnazione ma l’impegno è stato un atto di favoloso coraggio. Francesco è un papa che rischia, che non si accontenta. Ha detto ai giovani “fate casino”. Ha detto che la vita deve essere allegra. Ha detto di andare controcorrente. Ogni giorno che passa sorprende. Io non credo che esista un Dio (e tanto per chiarirci nemmeno che sia esistito Gesù Cristo). Però credo che esista Francesco, uno straordinario folle che potrà finalmente mettere in crisi la Chiesa e tutti quei cattolici che si riempiono la bocca di preghiere e di buoni propositi. Io non credo che sia esistito Gesù Cristo ma penso che chi si definisce cristiano dovrebbe comportarsi diversamente da come si comportano quelli che si definiscono cristiani. Per non parlare dei politici, gli italiani in testa, che si definiscono cattolici. Devono smettere di farlo. Perché le loro azioni non sono da cattolici e, prima o poi, appena avrà un momento libero, Francesco glielo dirà.

[csf ::: 06:41] [Commenti]
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Silvio Berlusconi nel 2009 era presidente del consiglio. Nella sua veste ufficiale ricevette i membri della federazione mondiale di basket. Erano tutti al terzo piano di palazzo Chigi. Silvio Berlusconi era reduce da una visita al presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev. E la raccontò in tutti i suoi particolari. La fonte qual è? E’ Claudio Barbaro, ex parlamentare del Pdl, poi transfuga con Fini nel Fli. Claudio Barbaro l’ha raccontata al Fatto Quotidiano. Ha raccontato che Berlusconi raccontò che Nazarbayev invitò Berlusconi nella sua dacia, gli disse di portare il pigiama, che c’erano una trentina di ragazze semisvestite. Raccontò che Nazerbayev lo invitò a sceglierne una. Raccontò che disse a Nazerbayev che la sua religione non consentiva la poligamia. Raccontò che il presidente della federazione mondiale di basket, l’australiano Bob Elphinston, rimase molto imbarazzato dai racconti. Berlusconi ha smentito. “Tutto falso”. Il buon giornalismo consiglia la verifica. Pronti. Bob Elphinston raggiunto dal Fatto, racconta: “Fu un incontro surreale, si parlò di tutto tranne che di basket. Berlusconi parlò delle donne kazake. Mi sentii in imbarazzo per lui.” All’incontro era presente anche l’allora presidente del Coni, Gianni Petrucci. Il buon giornalismo eccetera eccetera. Dice Petrucci, raggiunto dal Fatto Quotidiano: “Non ricordo nulla”. Elphinston, Berlusconi, Petrucci. Tre versioni. Chissà perché mi viene da dar ragione a Elphinston.

[csf ::: 06:17] [Commenti]
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Cercherò di dirlo educatamente, di dare libero sfogo ad insulti politicamente corretti. Calderoli è una persona che merita la sfiga più nera. Calderoli è una persona che la sua compagna dovrebbe cacciarlo di casa. Calderoli è una persona che gli amici dovrebbero prenderlo a schiaffi. Calderoli è una persona che se giocasse a calcio nessuno dovrebbe passargli la palla. Calderoli è una persona che quando sarà vecchio vecchio nessuno dovrebbe cedergli il posto in tram. Calderoli è una persona che se fosse sul punto di farsela sotto dovrebbe trovare i gabinetti tutti chiusi. Calderoli è una persona che a tennis dovrebbe perdere sempre 6-0 6-0 6-0. Calderoli ha un nome orrendo e una faccia che se la vedesse Lombroso scapperebbe via terrorizzato. Calderoli una volta, tanto tempo fa, ha espresso un pensiero sensato ma se ne è vergognato per tutta la vita. Calderoli da oggi in poi sarà una parolaccia. Gli uffici anagrafe sono subissati di domande di Calderoli che vogliono cambiare cognome. Un commercialista di Cernusco Lombardone, tale Pasquale Calderoli, ha ottenuto di chiamarsi d’ora in poi Pasquale Sonounpirla.
Ho fatto un sogno. Calderoli passeggia per via Condotti. Dal negozio di Bulgari esce un orango in smoking, tutto ingioiellato, che gli va incontro e gli sputa in un occhio. Ho fatto un altro sogno. Sempre lo stesso orango, dopo avergli sputato in un occhio, gli dice: “Mr Calderoli I suppose. You are a big pirla”.
ps. Sì lo so, ho scritto cose più raffinate. E allora?

[csf ::: 06:47] [Commenti]
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Già una volta in questa stessa rubrichetta ho affrontato indirettamente questo stesso problema. L’ho fatto quando mi sono messo in testa di difendere il professor Becchi, singolare sostenitore delle idee grilline. Becchi era stato insultato e vilipeso perché aveva osato sospettare che andando avanti di questo passo la politica dissennata e insensibile avrebbe potuto spingere qualcuno alla violenza. Questo concetto mi è rimasto dentro ed ogni tanto mi viene da riflettere sulle ragioni per le quali, a differenza del passato, l’estremo disagio, l’estrema povertà dei molti, l’estrema ricchezza dei pochi, l’estrema ingiustizia, non abbiano causato finora nessuna spinta rivoluzionaria. Invito subito tutti a non rompermi le scatole accusandomi di incitamento alla rivolta. Sto parlando di storia. Ricordo di aver letto uno studio della Fondazione Fiat, tantissimi anni fa, in cui si arrivava alla conclusione che ad un certo tasso di povertà corrispondeva automaticamente un’alta probabilità di moti rivoluzionari. Era sbagliato lo studio? O magari è cambiato il concetto di povertà? Oggi si considerano povere persone con una attitudine al consumo del tutto diversa dal passato. Persone che stanno male, certamente, che vivono nella disperazione, che hanno grossi problemi di sopravvivenza. Ma hanno frigo, tv, telefonino, auto, lavatrice. Poca roba, ovvio, ma sufficiente a dissuadere la gente dallo spaccare tutto. Per questo la politica ha maggiori responsabilità oggi. Deve fare bene anche senza lo spauracchio della rivoluzione.

[csf ::: 06:13] [Commenti]
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Beppe Grillo, checché dica, esce sconfitto dalle elezioni amministrative. Adesso i grillini dicono che i confronti non bisogna farli con le ultime politiche ma con le precedenti amministrative e non si rendono conto che così facendo piombano nella peggiore prima repubblica quando nessuno perdeva mai alle elezioni perché il confronto veniva fatto sempre con le cifre che convenivano di più. Ma non si può urlare al trionfo quando si trionfa e far finta di niente quando non si trionfa più. Però il problema non è il calo dei grillini. Il problema è che mentre ci si affanna a trovare le ragioni di una sconfitta (le liti sulla diaria, l’aventino politico, la paura di governare, l’assenza mediatica, le espulsioni dei dissidenti…) non ci si rende conto che bastava chiedere a lui, a Beppe Grillo, per sapere di chi è la colpa. Beppe Grillo ne è certo. La colpa è degli Italiani. Di quegli italiani che non capiscono nulla e votano Pd e Pdl senza rendersi conto che così facendo si comportano come dei Tafazzi che si danno delle grandi botte sui cabasisi. La colpa è degli italiani che non lo hanno votato. Innegabilmente corretto. Lo aveva già detto il Cavaliere Silvio Berlusconi quando non si rendeva conto di come gli italiani potessero esimersi dal votare lui. E li aveva definiti con grande precisione: coglioni. A me viene in mente Cuore, il settimanale di resistenza umana, che il 5 aprile 1992, commentando la sconfitta della sinistra che sperava una buona volta di vincere, titolò: “Il limite della democrazia: troppi coglioni alle urne”.

[csf ::: 06:23] [Commenti]
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