- 18 Luglio 2012
Se si leggono i giornali italiani sembra che la nazione sia sconvolta dal dramma di Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, alcune delle telefonate del quale, quelle con l’indagato Nicola Mancino, sono state intercettate. Hanno scritto sull’argomento giuristi, politici, opinionisti, direttori. Tutti. E tutti sostenendo che si tratta di un fatto grave che ha sconvolto l’opinione pubblica. Ora, qui, io non voglio affrontare l’argomento anche perché, entrato in più bar, non ho notato conversazioni accalorate su detto problema. Diciamo con libertà di linguaggio che in Italia, di tutto ciò, non importa un tubo a nessuno. Ma il presidente dice che è una questione di principio, che non si tratta di contenuti ma di legalità, diciamo di principio. Ed ha sollevato conflitto di attribuzione attaccando i magistrati di Palermo. Ma allora io di questo voglio parlare. Questa cosa era già successa dopo il terremoto dell’Aquila. Le telefonate di Napolitano con Guido Bertolaso in cui il presidente della Repubblica si diceva preoccupato delle sorti delle vittime erano state intercettate nell’ambito delle indagini sulla cricca della Protezione Civile. Ma allora Napolitano non protestò. E nessun direttore, opinionista, politico, giurista intinse la penna nello sdegno per aver visto le telefonate del presidente della Repubblica intercettate (in questo uniformandosi all’opinione pubblica che anche allora si disinteressava totalmente del problema). Domanda: perché allora il silenzio condiscendente ed oggi la cagnara sdegnata?