- 11 Maggio 2008
Caro presidente Napolitano, con tutta la deferenza che uno come me vuole mostrare per il primo presidente della repubblica di matrice comunista, vorrei sommessamente dissentire con il suo ultimo discorso sul giorno della memoria. Abbia pazienza, io sono giornalista e pur essendo tutto tranne un difensore della corporazione, mi allarmo quando qualcuno invoca il silenzio. Ha ragione lei quando dice che degli assassini dovrebbero avere il pudore di tacere (io aggiungerei anche “per sempre”, a prescindere dal fatto, ininfluente, se abbiano o no scontato la pena). Ma sono preoccupato quando aggiunge che non dovrebbero esserci tribune per simili figuri. E che “si deve dar voce non a chi ha scatenato la violenza terroristica ma a chi l’ha subita”. Presidente, mi consenta di ricordarle che cosa è un’intervista: non è un premio all’intervistato ma un mezzo per soddisfare la curiosità dei lettori. Che cosa ha da dire una vittima se non urlare il suo dolore? E’ evidente che far domande a un terrorista, soprattutto se politico, è più interessante. Tanto è vero che gliele fanno tutti: poliziotti, giudici, psicologici. Non gliele devono fare i giornalisti? L’importante è che gliele facciano bene, gliele facciano giuste. Cercare di capire è l’anelito di tutti, caro presidente. Cercare di capire e di spiegare è il mestiere dei giornalisti. Cercare di spiegare soprattutto le cose insolite e difficili. Cercare di spiegare perché un uomo morda un cane – si ricorda? – e non perché un cane morda un uomo. Non è difficile capire perché un uomo colpito nei suoi affetti soffra. Difficile è capire perché un uomo credendo di fare il bene dell’umanità uccida.