- 18 Febbraio 2015
Attenzione, questo è un Paese politicamente corretto. Questo non è il Paese dove i negri vengono chiamati neri ma poi vengono sfruttati nelle campagne a raccogliere pomodori dall’alba alla notte per poche decine di euro senza contributi e senza assistenza sanitaria. Questo è un Paese politicamente corretto, che cosa vi credete? Non è il Paese dove i derelitti del Terzo Mondo vengo chiamati extracomunitari ma vengono lasciati morire di freddo sui gommoni alla deriva in alto mare. Queste cose non succedono in Italia, perché l’Italia è un Paese politicamente corretto. Mica un Paese dove un handicappato viene chiamato diversamente abile, ma poi il parcheggio a lui riservato viene sempre occupato dai veramente abili. In questo Paese, un Paese politicamente corretto, i barboni vengono chiamati clochard, gli zingari vengono chiamati rom, i “vucumprà” non vengono chiamati per niente e non gli compriamo nemmeno una confezione di fazzoletti o l’accendino. E bisogna vederla la nostra faccia quando usciamo da un ristorante dove ci siamo sparati una fiorentina da 50 euro e non troviamo un euro da posare sulla mano del questuante. Questo è il Paese dove il drogato viene chiaro tossicodipendente, ma quando ti passa vicino con l’occhio perso tu ti scansi infastidito. Questo è un Paese politicamente molto corretto e adesso tutti quanti gliele suonano ad Arrigo Sacchi che ha usato dire che ci sono troppi stranieri, troppi giocatori di colore nelle squadre di calcio italiane. Razzista!
- 11 Febbraio 2015
Ignazio Marino ha deciso che lo slogan (il motto? la frase guida?) di Roma, d’ora in poi, sarà “Rome and you”. Bella. Avvicina la gente. E per una città che fa del turismo la sua prima industria sembra il cacio sui maccheroni. Lo chiamano logo relazionale. Qualcosa come I love New York. Secondo me funziona perché crea una specie di senso di colpa. Roma è qui e tu dove stai? Che cosa aspetti a venire nel centro del mondo? Stai a perdere tempo con cittadine come Londra e con villaggi come Parigi? Roma e You. Un rapporto diretto, d’amore. Per farlo sceglie la lingua più parlata del mondo industrializzato occidentale. Un inglese, un americano, ma anche un francese o un tedesco, vedono Roma and You e prenotano subito l’aereo. Che cosa stiamo ad aspettare? I and Rome, anzi We and Roma perché parte con tutta la famiglia. Tutto perfetto ma a mio giudizio qualcosa stona. C’è una sorta di sudditanza psicologica. L’inglese è ormai la lingua più usata nei rapporti internazionali, ma di fronte a slogan così corti e incisivi anche l’italiano non è male. Qualche anglofono avrebbe avuto difficoltà a capire “Io e Roma”? Non credo proprio, sono piccole paroline internazionali. “I”, “io”, “yo”, “je”, “ich”. Comprensibili a tutti. Usare l’italiano avrebbe aggiunto una briciola di orgoglio italico che non guasta quando si parla di turismo. E poi Roma è Roma. Non è da Marino cedere in questa maniera all’egemonia linguistica anglosassone. Proprio lui che aveva scelto come slogan elettorale il romanesco: “Daje!”
- 4 Febbraio 2015
Elezioni presidenziali: ricorderò il cagnetto Briciola, mascotte dei carabinieri. Lo ricorderò perché naturalmente se ne fregava del cerimoniale. Ricorderò Crozza con quella sua incredibile imitazione di Mattarella fatta praticamente in diretta. La battuta più bella ? “Lasciatemi rivolgere un pensiero a colui che grazie al mio insediamento può finalmente abbandonare il suo gravoso compito e concedersi un meritato riposo: Enrico Mentana”. Poi ricorderò la Flaminia Cabriolet-Landaulet 335 del 1961. Sembrava la cosa più vecchia visibile in quei giorni e invece era la più giovane. Ricorderò la voce sensuale di Laura Boldrini che come un mantra ripeteva: “Bianca, bianca, bianca, Feltri Vittorio, Imposimato punto effe”. E, perché negarlo?, ricorderò tutti quei momenti di grande emozione ogni volta che Laura diceva: Claudio Sabelli Fioretti e si sentivano salire urla di meraviglia dalle scale del palazzo di radio Due di via Asiago 10. Non scorderò mai naturalmente Laura Boldrini che diceva: “Sabelli Fioretti, no, Sabelli Fioratti, qui c’è scritto Fioratti”. Ricorderò la grande e riccioluta chioma rosso fuoco (l’unica cosa vagamente comunista che c’era in Parlamento) di Valeria Fedeli che in quel momento era la seconda carica dello Stato. Ricorderò l’articolo scritto da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano. Era il primo giorno da direttore e Marco scrisse una colonna di elogi al discorso di Sergio Mattarella. Il primo articolo da quando è nato in cui parlava bene di qualcuno. Un miracolo. Chissà che Mattarella, di miracoli, non ne faccia anche altri.